In between time

luglio 23, 2013

Luglio 2001

Filed under: Personal, Politik — Tag:, , , , — fra_dolcino @ 10:41 PM

Quell’estate di dodici anni fa mi sembrava torrida, ma sono sicuro che è una mia impressione. Il calore afoso lo associo alla sporcizia, al senso di oppressione, al sistema nervoso messo alla prova dalle condizioni estreme. La sporcizia umana di chi ha l’anima macchiata, la mente ottenebrata, l’ignoranza come stile di vita. La sporcizia me la sentivo addosso vivendo in una tenda, piazzata all’interno di uno stadio, alla periferia di una grande città, per quasi una settimana. Le tenebre vagavano anche nella mia mente, ed era la paura, quella sana che ti mette in guardia, tiene vigile l’istinto all’autoconservazione. Tuttavia ignoravo fin dove si possa spingere, non il disegno repressivo, ma l’azione dei singoli (…)

Partiamo in treno per evitare i posti di blocchi e le rotture di coglioni prima ancora di arrivare. Ricordo molte cose che sono successe nei giorni precedenti – incontri, presidi, azioni, le campagne di sensibilizazzione per creare un po’ di consenso per quella che doveva essere la Seattle europea – ma non ricordo niente di quel viaggio. Poche ore in treno, lo zaino con il minimo indispensabile, la tenda. All’arrivo si sente il clima teso. La propaganda di “regime” l’ha determinato con le veline che lasciavano increduli: la più ridicola diceva che i manifestanti avrebbero lanciato i palloncini con il sangue infetto contro le forze dell’ordine. Mi ricordo il buio, un’altra impressione sicuramente, ho la sensazione che fosse troppo buio per essere alla stazione ferroviaria di una grande città. Il puntello con i compagni di fiducia e poi l’arrivo allo stadio. Non mi piace, non piaceva a nessuno. Nella storia recente gli stadi sono stati spesso trasformati in lager o in cimiteri. Ma il clima è festoso e i pensieri cupi si disperdono. I ricordi sono confusi in quei primi giorni, non avevo un ruolo preciso, quindi si passava molto tempo a bighellonare, chiacchierare, gironzolare nei dintorni dello stadio. Tentavo di scambiare qualche parola nel mio inglese stentato con persone venute da altri paesi. I flashback casuali: la costruzione del rocambolesco, fragile e ingombrante scudo di protezione, il nubifragio e lo scavo dei canaletti per far defluire l’acqua, il tentativo di perquisizione con un plotone massiccio di CC in armature nuove di zecca. Poi le parole di sostegno del fornaio dove prendevamo la farinata, a dire il vero non mi suonavano del tutto sincere, sembrava più che altro un modo per tutelarsi anche se non ne aveva assolutamente bisogno, non lì di fronte al Carlini. Sicuramente non ha mai più fatto così tanti incassi. Ricordo i finlandesi silenziosi, un pranzo con loro in trattoria – i soldi sono pochi ti accontenti di un primo. Tra loro un’elfa con i dread, il fascino esotico del lontano nord attira gli sguardi e dopo non mancano i commenti stupefatti. Un vecchio compagno tedesco della rete No Border ospitato più volte in quegli anni, mi dispiace non averlo conosciuto meglio. Tante altre facce perse di vista e incontrate a Milano, Parigi, Strasburgo, Monaco (…)

Poi arrivò il giorno del concerto di Manu Chao. Costava qualcosa, comunque a prezzo politico per finanziare le spese del Genova Social Forum. Insieme ad altre decine di persone sto all’entrata per fare da filtro e mettere i timbri. Una fiumana di gente. Vicino a me c’è un uomo di mezza età, con la barba, diceva che era un militante negli anni ’70. Poi andò in India. Storia già sentita molte volte, nel frattempo è diventato buddista o induista, non ricordo. Tuttavia è tornato, lui come chissà quanti, con spinto dalla volontà di agire in quei giorni. Io ne ho conosciuto molti. Solo nella mia città di allora, persone che hanno avuto anche solo una breve esperienza di attivismo politico nella propria vita, erano tornate e volevano far qualcosa. Figuriamoci altrove dove nel passato c’erano le situazioni di movimento interessanti a differenza di quella sfigata città del centro-nord, resa tristemente nota da Giorgio Bocca che scrisse nel 1962 “Mille fabbriche e neanche una libreria“. Non c’è tempo di leggere la dove si pensa solo “a fare soldi, per fare soldi, per fare soldi” e dove il ciabattino si ammazza di lavoro con l’aspirazione di diventare industriale un giorno. Comunque anche in questa desolazione c’era chi faceva qualcosa, per rendere l’onore ai quattro gatti di Lotta Continua e del gruppo Manifesto. Poi chi torno alla vita privata, chi conflui nel partito e chi fece qualche fine innominabile. Ma torniamo al mio compagno di quella serata, che una volta entrati quasi tutti, decise di offrirmi un canna di charas. Accettai di buon grado. Da quel momento in poi rimasi in stato confusionale per molte ore e penso che quelli che arrivarono dopo, entrarono gratis. Ricordo solo la tarda notte quando era finito tutto. dovevamo dormire lì per sorvegliare il palco che andava smontato completamente in giorno dopo. Qualche ora di sonno tormentato ma senza quella canna di charas probabilmente non avrei dormito affatto.

Se non ricordo male ogni giornata doveva essere caratterizzata da qualche tematica, quel 19 di luglio era dedicato ai diritti dei migranti. Ma non sto a parlare di questo, la cronaca la conoscono tutti, e tutti hanno un bel ricordo di quella giornata. Qualcuno pensa che tutte dovevano essere così. Ma purtroppo nessun cambiamento epocale è stato provocato da processioni festose e dalle loro parole d’ordine. Nessun regime è stato rovesciato pacificamente e nessuna guerra è stata fermata con la dialettica e il richiamo al buon senso. Forse mai neanche un nuovo sistema dei diritti è stato affermato del tutto pacificamente. E non mi vengano a parlare del ghandianesimo considerando che le masse indiane erano piuttosto incazzate e poco pacifiche quando prendevano a sassate e a bastonate i soldati inglesi o quando sabotavano gli impianti produttivi. Comunque era bello, mi dava l’illusione che avremo potuto incidere più seriamente sul corso degli eventi. Lungi dal voler essere cinico e sconfittista, i movimenti dal 99 al 2003 hanno imposto molte cose all’opinione pubblica, hanno influenzato le scelte editoriali, hanno dimostrato che alcune cose si possono fare, hanno contaminato anche se in minima parte le classi politiche di tutto il mondo. Ma le fragilità erano molte e di questo si è parlato, discusso, dibattuto, scazzato, scritto nei libri.

Altri ricordi: il corteo, le persone incontrate nella folla, l’odore rivoltante dei lacrimogeni che mi rimase appiccicato addosso per giorni – chissà quelli che erano in prima fila. Il corteo viene aggredito nella parte del percorso autorizzato, vedo tornare compagni paonazzi che non hanno più retto. Ho paura, ma penso di doverci andare anch’io, lei mi ferma tra incredulo e ironico, probabilmente ha ragione, non avevo mai partecipato agli scontri veri, chissà magari mi avrebbero beccato, arrestato, pestato, legato alle sbarre, orinato in faccia, fatto baciare la foto del duce. Desisto senza troppe discussioni. Si è capito che la priorità è tirarsi fuori da quell’imbuto, certo in molti non ce l’avrebbero fatta senza quelli che hanno sostenuto lo scontro in testa. Girano le voci di un morto. Ma anche su questo ci sono i video, le controinchieste, le testimonianze, i libri. La rabbia è tanta, qualcuno la sera stessa vorrebbe rispondere con un riot. Gli interventi contrari mi sembrano sensati. La trapola: così è intitolato il video che ricostruisce l’assassinio di Carlo. Il giorno dopo compatti, il corteo si fa lo stesso, ma si capisce che le provocazioni non mancheranno, vogliono la caccia all’uomo. Un corteo che ha come l’unico obiettivo quello di portare il culo in salvo dopo che viene spezzato in due. Fa un percorso contorto, sembravamo più profughi che manifestanti. In lontananza infuriano gli scontri. Non tutti sanno quello che fanno. Si vedono i candelotti dei lacrimogeni cadere dall’elicottero. Qualcuno verrà colpito. Per troppa gente è uno dei primi cortei o il primo dopo chissà quanto tempo. In molti solidarizzano dalle finestre, buttano giù le bottiglie d’acqua. Quanti aneddoti, quante storie sentirò, nei giorni, mesi, anni, successivi. Finito il corteo voglio andarmene, uscire dal calderone, capire da fuori la vera entità dei danni. Torniamo con un insegnante delle scuole medie, in macchina, speriamo che non ci fermino. Torno a casa e trovo i vicini di casa con la televisione in cortile che guardano i Tg. Teniamo parte. Accendo il pc, spulcio notizie, vado in irc, vengo a sapere dello scempio della Diaz. Che rabbia. Agiamo localmente, subito incontri di controinformazione, qualche passante in piazza dice che dovevano ammazzarci tutti. Ci sono persone che pensano che non sarebbe male sterminare 300.000 esseri umani. Un insulto, un fischio, uno spintone per una causa che riguarda tutti, dai giornali vengono presentati come dei gravi crimini, qualcuno che invoca lo sterminio è una persona normale. La società dello spettacolo. Asimmetrica. Si dicono delle banalità quando si cerca di scardinare certe percezioni distorte dalle menzogne. Qualche giorno dopo interrompiamo il consiglio comunale: vogliono fare una mozione per solidarizzare con le forze dell’ordine e condannare la manifestazione. Un consigliere chiede invece il minuto di silenzio per Carlo. La maggioranza vuole il minuto di silenzio par-condicio anche per i poliziotti feriti. Il minuto di silenzio per i vivi. Non c’è fine alle ridicolaggini e alle meschinità. Facciamo rispettare l’omaggio a Carlo e bagarre su tutto il resto. Lasciamo l’aula prima che arrivino i rinforzi per  buttarci fuori.

Poi in montagna con le tende, su un torrente a lavarci di dosso il CS.

Sono tornato l’anno successivo a Genova e quello dopo ancora. Poi è gradualmente calato l’impegno nell’attivismo politico. Ripenso spesso a quelle giornate, alle sovrapposizioni nella gestione dell’ordine pubblico, al disegno repressivo, ai fattori casuali dovuto al caos o all’inefficienza, al ruolo dei servizi segreti esterni, agli errori commessi dalle varie componenti del movimento, ai luoghi comuni talvolta stupidi che si sono creati per darsi delle risposte semplici sul perché le cose siano andate così. Ma la cosa più piacevole da ricordare erano i preparativi, l’entusiasmo e la sensazione che smuoveremo qualcosa, il clima “internazionalista” e una tendenza di uscita dal ghetto o dalla nicchia. La grande partecipazione che ci fu nei due anni successivi (…)

luglio 20, 2010

G8 Genoa 2001 – Adapt or die

Filed under: ActNow, Storia movimenti — Tag:, , , , , — fra_dolcino @ 2:01 PM

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